UN CERNUSCHESE IN TRIONFO A PARIGI - Francesco Zucchetti e l'Olimpiade del 1924
INTRO
Questa è la storia di Francesco Zucchetti, il ciclista nato a Cernusco sul Naviglio che una domenica di luglio del 1924, insieme ad altri tre atleti italiani, vinse la medaglia d'oro alle Olimpiadi di Parigi nella gara di inseguimento a squadre di ciclismo.
E' la storia per come è stata ricostruita attraverso un lavoro di ricerca - soprattutto su web - di tracce, narrazioni, fotografie e un documento fondamentale: l'Official Report di Parigi 1924, con tutti i risultati, i tempi e le relazioni di gara di quell'Olimpiade.
A questo materiale si sono aggiunti alcuni importanti contributi.
Innanzitutto la disponibilità dell'Ufficio Anagrafe e dell’Ufficio Sport del Comune di Cernusco sul Naviglio, che hanno ritrovato nel "Registro di Popolazione" del 1913 i documenti della Famiglia Zucchetti.
Poi, la passione per il ciclismo dell’Associazione Cernuschese Tino Gadda, in particolare del Presidente Pietro Navoni e del Consigliere Ersilio Gadda, che stavano già affiancando ai documenti d’archivio dell’associazione le informazioni sulla carriera sportiva di Francesco Zucchetti.
Ancora, il sostegno dell'Associazione Genova 1913 nella persona del consigliere Giancarlo Scalmana, che ci ha regalato il libro "Cuore e bicicletta" da cui abbiamo tratto alcuni passaggi sulla storia ciclistica di Milano e di questa associazione per cui corse il giovane Francesco Zucchetti all'inizio del secolo scorso.
Quindi, l'analisi storica del lavoro nelle filande di Cernusco fra '800 e '900 contenuta nel libro "E lee la va in Filanda" di Serena Perego, utile a ricostruire il profilo economico di Cernusco sul Naviglio in quell'epoca storica.
Infine ma non ultimo, il contributo di un cernuschese appassionato di ciclismo, Tiziano Protti, che ha dato lo spunto per il trasferimento organizzato proprio in questi giorni dei resti del campione olimpico cernuschese dal cimitero del Comune di Trichiana, nel bellunese, alla cappella comunale in quello del Comune di Cernusco sul Naviglio.
Questa narrazione, che non ha la pretesa di essere esaustiva ma anzi rimane aperta a ogni contributo che possa arricchirla di contenuti e dettagli, crediamo possa consegnare a Cernusco sul Naviglio e alla passione non solo sportiva per le due ruote che ancora oggi esprime la nostra città, un frammento di storia e di ricordo comune. E quindi di futuro.
UN CERNUSCHESE IN TRIONFO A PARIGI:
FRANCESCO ZUCCHETTI E L'OLIMPIADE DEL 1924
Le Olimpiadi di Parigi del 1924 furono l’edizione che chiuse un’epoca.
Erano passati trent’anni dal Giugno 1894, quando il Barone Pierre De Coubertain aveva presentato il suo progetto di giochi olimpici a un congresso alla Sorbona, al termine del quale fu deciso di fondare il Comitato Olimpico Internazionale e vennero stabiliti il luogo e la data della prima edizione delle Olimpiadi moderne: Atene 1896.
Nonostante le difficoltà nell’organizzazione (la crisi economica attanagliava la Grecia già allora…), alle 15.30 del 6 Aprile 1986 Re Giorgio I dichiarò aperte le prime Olimpiadi moderne. Le nazioni in gara erano 14 – Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Stati Uniti, Svezia, Svizzera e Ungheria – ma le differenze tra una delegazione e l’altra apparvero enormi: i Greci, che non dovevano affrontare spese di trasferta, schierarono 169 atleti; Australia, Svezia, Cile, Bulgaria e Italia, invece, uno a testa.
Il barone De Coubertain riuscì a portare la seconda edizione dei giochi nella sua Parigi, attratto dalla possibilità di far coincidere le Olimpiadi con l’Expo in programma nello stesso anno nella capitale francese. Non sempre, però, le buone idee si trasformano in buone esperienze. Mentre quelle di Atene erano durate nove giorni, le Olimpiadi di Parigi si svolsero dal 14 maggio al 27 ottobre del 1900 e furono considerate un colossale fiasco. Interamente inglobate nel programma dell’esposizione universale, comprendevano discipline molto più da “giochi senza frontiere”, come il tiro al piccione o il tiro alla fune, con diverse gare palesemente truccate.
Per questo De Coubertain si ripromise di organizzare di nuovo le Olimpiadi a Parigi e ci riuscì cinque edizioni dopo, nel 1924, l’ultima della sua presidenza del CIO: 44 paesi partecipanti, 20 discipline sportive, 117 gare in programma, 2.998 atleti di cui il 95% uomini e 5% donne. Questa volta fu un grande successo organizzativo e sportivo (nonostante il boicottaggio di Germania e Unione Sovietica), che consegnò ai libri di storia indimenticate prestazioni sportive.
Per il mondo, la più famosa è forse quella di Paavo Johannes Numi, uno degli imprendibili “finlandesi volanti” che nella corsa sulla media distanza dettarono legge per anni. Numi fu il miglior fondista e mezzofondista del mondo per tutti gli anni venti, vincitore a Parigi di 5 medaglie d’oro. Memorabile la sua vittoria nei cinquemila metri, corsi appena un’ora dopo aver colto il successo nei millecinquecento metri, mentre fu solo una sovrapposizione di gare nel programma ufficiale a impedirgli di correre – e probabilmente vincere – anche i diecimila.
Per Cernusco sul Naviglio, il successo più importante fu invece quello raggiunto dal team italiano di ciclismo, specialità inseguimento a squadre, con De Martini, Dinale, Menegazzi e Zucchetti. Sì, perché in quella squadra che vinse la medaglia d’oro, bissando il successo di quattro anni prima ad Anversa (allora però con quattro protagonisti diversi), l’atleta più giovane era il ventiduenne Francesco Zucchetti, nato a Cernusco sul Naviglio il 14 Aprile 1902.
A Parigi 1924 l'Italia si presentò con una delegazione di 200 atleti: 197 uomini e 3 sole donne. Il ruolo di portabandiera venne affidato al milanese Ugo Frigerio, già medaglia d'oro nella tre e nella dieci chilometri di marcia all'Olimpiade del 1920. Frigerio fu il primo campione italiano nella marcia nella storia dell'atletica azzurra ed era solito tagliare il traguardo - specialmente nelle gare disputate all'estero - con le braccia alzate al cielo e al grido fiero di "Viva l'Italia!".
Già, l’Italia. Il 30 maggio 1924 il Parlamento aveva votato la convalida degli eletti, formalizzando la legalità delle elezioni tenutesi in aprile. Una regolarità contestata dal parlamentare socialista Giacomo Matteotti con un celebre discorso nel quale accusava i fascisti di brogli elettorali e denunciava le violenze subite dai cittadini e dai candidati socialisti, comunisti, repubblicani e liberali progressisti. Fu un discorso drammatico, che Matteotti concluse con le parole: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me". Il 10 giugno 1924 a Roma, sul Lungotevere, un gruppo di fascisti aggredì e rapì Matteotti mentre si recava in Parlamento. Il suo corpo venne ritrovato in stato di decomposizione sei giorni più tardi. Il delitto Matteotti suscitò una profonda emozione nazionale ma non riuscì a fermare l’ascesa del fascismo: il 1° Luglio 1924, dopo quasi due anni dalla sua marcia su Roma, Mussolini varò un governo composto esclusivamente da esponenti fascisti e qualche militare.
A Parigi, intanto, a pochi giorni dalla conclusione dei giochi olimpici, la delegazione azzurra aveva già appeso al collo 7 medaglie d’oro (compreso il bis del portabandiera Ugo Frigerio nella dieci chilometri di marcia), 3 d’argento e 5 di bronzo: un bottino niente male. Dal 23 al 27 luglio 1924 (le Olimpiadi terminavano proprio in quel giorno) si svolsero le ultime prove, tra cui le gare dell’inseguimento a squadre di ciclismo.
L’Italia, come poi è capitato spesso nella storia sportiva mondiale, era considerata una vera e propria potenza del ciclismo. Dalla conclusione della Prima guerra mondiale il movimento ciclistico italiano aveva portato alla ribalta nomi che sarebbero poi diventati leggendari, come quelli di Costante Girardengo e di Alfredo Binda. Il 20 luglio 1924, pochi giorni prima delle gare olimpiche, proprio un italiano aveva vinto la diciottesima edizione del Tour de France: dopo il secondo posto dell’anno precedente, era stato Ottavio Bottecchia - detto “Il Muratore del Friuli”, già bersagliere ciclista e Medaglia di Bronzo al Valor Militare nella prima guerra mondiale – ad arrivare a Parigi in maglia gialla. Un anticipo di quello che accadrà tre anni più tardi, nel 1927, l’anno in cui venne istituito il campionato del mondo dei professionisti, quando l’Italia piazzò Binda, Girardengo, Piemontesi e Belloni ai primi quattro posti dell’ordine d’arrivo sul traguardo del Nurburgring, in Germania.
Quello degli anni venti era un ciclismo epico, che intrecciava le storie personali e sportive dei campioni con la storia con la “esse maiuscola”, quella che attraversava l’Italia e le sue strade impolverate. Basta pensare a Costante Girardengo e alla sua chiacchierata amicizia con un famoso bandito del tempo, Sante Pollastri, suo grande tifoso. Ricercato dalla polizia, Pollastri era sempre riuscito a fuggire ed era infine espatriato rifugiandosi a Parigi, dove incontrò Girardengo in occasione di una Sei giorni. Il colloquio tra Pollastri e Girardengo fu anche oggetto di una testimonianza che il Campionissimo rilasciò al processo al bandito dopo la sua cattura. Una vicenda che decenni più tardi ispirò libri, serie TV e una bellissima canzone di Francesco De Gregori.
Nel programma olimpico di Parigi 1924, le prove di "ciclismo su pista - specialità inseguimento a squadre", si disputavano al Vélodrome Municipal de Vincennes (comunemente detto “La Cipale”), nel XII Arrondissement. Uno stadio a quei tempi famosissimo, costruito nel 1894 e che aveva ospitato la cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici del 1900.
Per chi non lo sapesse, è utile ricordare che le gare di inseguimento a squadre si svolgono sulla distanza di quattro chilometri, con due squadre da quattro elementi ciascuna schierate alla partenza sui rettilinei contrapposti del velodromo. Vince la squadra che percorre la distanza prevista in meno tempo (calcolato sul terzo corridore) oppure la squadra che raggiunge l’altra (tecnicamente si parla di “ricongiungimento”) prima che siano percorsi i quattro chilometri. E’ davvero uno sport di squadra, fatto per gente che pensa prima di tutto al gruppo più che a scappare in fuga, perché se non si arriva insieme il risultato non vale. Anni più tardi un grande coach di pallavolo, Gian Paolo Montali, descriverà benissimo questa tensione all’unità del gruppo raccontando la sua esperienza da allenatore della nazionale italiana campione d'Europa a Roma: o si vince come squadra o si viene annullati individualmente.
Il ciclismo su pista era una disciplina popolarissima, che consacrava campioni e attirava nei velodromi di tutto il mondo folle di appassionati. A Milano si correva ad esempio sulla pista in terra battuta del Trotter, in piazza Andrea Doria (proprio lì dove poi fu costruita la Stazione Centrale); oppure all’Arena, con una pista di legno che si montava e si smontava per l’occasione; o ancora alla pista Fumagalli, nella campagna lungo il Naviglio Grande, dalle parti di porta Genova.
In attesa del Vigorelli, la cui progettazione partirà solo nel 1934, il primo velodromo di Milano inteso come impianto pensato prima di tutto per le gare in bicicletta venne costruito a cavallo dei due secoli e risulta essere il Velodromo del Sempione, tra corso Sempione e via Giovanni da Procida, con ingresso da via Arona: un anello con pista scoperta, ormai in linea con le caratteristiche tecniche del caso. Il Velodromo del Sempione è famoso anche perché all’interno del suo anello, tra il 1914 e il 1920, disputava le sue partite casalinghe una squadra fondata solo quindici anni prima ma che avrebbe fatto molta strada nel panorama calcistico italiano: l’AC Milan. Ma questa è un’altra storia...
In quegli anni d’inizio secolo, in una Milano di periferia dalle parti di Porta Genova, alcune persone discutono in una trattoria. E’ il 13 Gennaio 1913 e nasce lo Sport Club Genova, un’associazione ciclistica, negli anni orgoglio milanese e attiva ancora ai giorni nostri.
Lo pratica sportiva si avvia a non essere più quel privilegio per pochi espresso nelle tenzoni cavalleresche o nelle corti dei potenti. La società vive un fervore diffuso di innovazioni nel campo dello sviluppo economico e anche se la povertà è ancora sì diffusissima, circolano maggiori risorse. L’ardore emotivo intorno alle due ruote è esaltato da competizioni che cominciano a richiamare stuoli di appassionati, Da quattro anni, ad esempio, si disputa il Giro d’Italia, organizzato da un foglio verdolino che diventerà poi rosa: la Gazzetta dello Sport. Al di là delle Alpi si sta affermando una corsa che si disputa da 17 anni, la Parigi-Roubaix, mentre dal 1903 ha iniziato la sua avventura il Tour de France, che nella prima edizione incorona il francese Maurice Garin, o meglio Maurizio Garin, un ciclista e pistard italiano naturalizzato francese per l’occasione.
Maurizio Garin sarà solo il primo degli “italiani in giallo” a Parigi negli oltre 110 anni di storia della corsa: Ottavio Bottecchia nel 1924 e nel 1925. Gino Bartali nel 1938 e dieci anni dopo, nel 1948, con quella vittoria che divenne famosa anche per le vicende politiche a essa legate: in Italia si viveva in quei giorni una situazione tesa dopo l'attentato a Palmiro Togliatti, al punto che il Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi telefonò a Bartali la sera prima della quattordicesima tappa per incoraggiare il campione toscano…il trionfo di Bartali contribuì a rasserenare il clima di tensione nel Paese. Poi fu Fausto Coppi a vincere, l’anno dopo, nel 1949. Gastone Nencini nel 1960. Felice Gimondi nel 1965. Il compianto Marco Pantani nel 1998. E infine “lo squalo in giallo”, Vincenzo Nibali, nel 2014.
Il Genova 1913 fu fin da subito un’associazione molto attiva, la cui popolarità aumentò a dismisura in pochi anni e che proponeva diverse discipline come il ciclismo, il podismo, il nuoto e il pugilato.
Così la descrive un’informativa della Questura indirizzata alla Prefettura il 4 Settembre 1918: “La Società Sport Club Genova di via Vigevano n.6 fu fondata il 13 gennaio 1913 e si compone di 450 soci, dei quali molti attualmente sono sotto le armi. Detto sodalizio è affiliato alla Federazione Italiana Sport Atletici e si propone di incoraggiare gli esercizi sportivi; non ha carattere politico. La gara podistica indetta per l’8 corrente alla quale concorreranno circa 60 persone in maggioranza militari appartenenti a varie armi comprende un itinerario di circa 10 chilometri e ha una certa importanza. Questo ufficio manifesta parere favorevole all’accoglimento della domanda avanzata dalla stessa, la quale è presieduta dall’operaio Tacchinardi Emilio attualmente esonerato dal servizio Militare”.
E siccome gli eventi della vita fanno dei giri immensi e poi ritornano, nell’anno in cui nasce il Genova, la Famiglia Zucchetti cambia casa: il 9 Novembre 1913, papà Celestino, la moglie Giuseppina e i due figli Francesco e Alfonso di 11 e 10 anni, lasciano l’abitazione di via Cavour 8 a Cernusco sul Naviglio (nella foto sotto, così com'era nel 1917) e si trasferiscono a Milano.
Quella di inizio secolo, con sindaco Ambrogio Biraghi, è una Cernusco che il censimento Istat del 1901 certifica in 6.533 abitanti, dediti non solo all’agricoltura e all’allevamento nelle numerose cascine che abbracciano il centro abitato, ma anche impegnati nell’industria della seta con le sue filande.
Il territorio cernuschese era coltivato in parte a foraggio e in parte a frumento, gelso, grano, orzo, segale e vite. Non mancavano alcuni pascoli e gli allevamenti di bachi da seta. La statistica industriale relativa alla Regione Lombardia dell’anno 1900 elenca a Cernusco tre ditte per la trattura della seta, appartenenti rispettivamente a Nicolò Carini, Pietro Gavazzi e Pietro Tizzoni, e due per la torcitura della seta, del Carini e del Gavazzi. Su un totale di 516 addetti alle aziende allora presenti a Cernusco (oltre ai cinque setifici, una officina del gas, quattro latterie o caseifici e una fabbrica di serramenti in legno e parquet), ben 481 lavorano nell’industria della seta. I primi del Novecento segnano tuttavia una battuta d’arresto per l’industria serica cernuschese: il 1908 è infatti anche per Cernusco l’anno dell’inizio della crisi delle industrie tessili, affossate dalla guerra delle tariffe e da una crisi di sovrapproduzione, con conseguenze su tutta la popolazione
Gli Zucchetti che in quel freddo Novembre 1913 si trasferiscono a Milano, dunque, sono una famiglia Cernuschese DOC, anche nei cognomi: Celestino, falegname nato nel 1872, è figlio di Francesco Zucchetti e Rachele Radaelli; la moglie Giuseppina, casalinga nata nel 1880, è figlia di Alfonso Rosci e Rosa Meroni.
Francesco e Alfonso, i due ragazzi con i nomi rispettivamente del nonno paterno e del nonno materno, sono appassionatissimi di ciclismo e quando arrivano a Milano vestono ben presto la maglia blu e arancione della più importante associazione ciclistica della città, il Genova. Il più talentuoso dei due fratelli è il primogenito, Francesco, che a ventuno anni diventa campione italiano velocità dilettanti per la stagione sportiva 1923.
E’ il trampolino di lancio per la convocazione alle Olimpiadi di Parigi. In squadra con lui vengono chiamati Aurelio Menegazzi - ventiquattrenne da Buttapietra, paese a 11 km a Sud di Verona - e altri due compagni del Genova: Angelo De Martini, ventisettenne da Villafranca di Verona, già campione italiano nella velocità dilettanti nel 1922; e Alfredo Dinale, ventiquattrenne di Vallonara di Vicenza con una significativa carriera da dilettante alle spalle.
Un secolo dopo, la storia di Alfredo Dinale diventerà uno spettacolo teatrale, messo in scena a Bassano del Grappa lo scorso 5 Dicembre 2015: “La perla del Brenta”, tratto dal romanzo di Loris Giuriatti. La trama è legata allo sfollamento degli abitanti della Valbrenta del novembre 1917 causato dalla Grande Guerra: una sofferenza che ha pesato sulle famiglie a ridosso delle terre di nessuno, un colpo di bisturi sui tessuti sociali dei vari territori, trapiantati altrove in mille pezzettini, un viaggio tremendo senza meta. Con due storie che si intrecciano: quella di Sofia Negrello di San Nazario, la bambina vestita di bianco con il suo portafortuna, la perla del Brenta; e quella di Alfredo Dinale detto Fortunato, il marosticense con il sogno si arrivare alle olimpiadi. Un tempo quelli che scappavano dalle guerre eravamo noi…
Ma torniamo a Parigi, in quel sabato 26 Luglio 1924.
Eccoli lì i quattro italiani sulla linea di partenza de “La Cipale”: ci sono i due atleti di Verona, uno sfollato della Val Brenta con un portafortuna nella tasca della maglietta e Francesco, il ragazzo di Cernusco sul Naviglio.
Il verbale delle due giornate di gara parla di condizioni meteo complessivamente buone e pista eccellente nonostante un breve rovescio di pioggia il primo giorno, in occasione delle prove eliminatorie.
Quindici le nazioni iscritte in ordine alfabetico sul registro dei giudici francesi: Argentine, Australie, la temibile Belgique, Chili, Danemark, Etas-Unis, la France padrona di casa e favorita, Grande Bretagne, Hollande, l’Italie campione uscente, Lettonie, Pologne, Suisse, Tchéco-Slovaquie, Yougoslvie. Solo dieci nazioni, però, scenderanno in pista.
Al primo turno i nostri se la devono vedere con la Jugoslavia, che però non si presenta e apre agli italiani le porte dirette dei quarti di finale, mentre i francesi battono la Gran Bretagna con il miglior tempo delle eliminatorie di 5’11”. Insieme a Italia e Francia passano ai quarti di finale Belgio, Polonia, Svizzera e Danimarca: dovranno sfidarsi di nuovo, nella stessa giornata, in gare secche a eliminazione diretta e passeranno al turno successivo le tre vincitrici delle rispettive sfide più la miglior seconda.
Ai quarti l’Italia pesca la Danimarca: altro forfait. I nostri risparmiano le gambe e vanno a dormire con la semifinale in tasca ma con i dubbi di non conoscere il proprio valore in gara. Anche senza avversari, gli italiani hanno corso due volte i quattro chilometri di pista rispettivamente in 5’23” e 5’13”, ma la competizione è un’altra cosa e gli altri che hanno gareggiato hanno fatto tempi migliori. Con l'Italia infatti passano i soliti noti, Belgio e Francia, più la Polonia come miglior seconda. E il tempo record dei quarti è del Belgio con 5’12”.
La “notte prima di” è sempre la più bella. Ti auguri possa passare in un lampo, per essere già in azione il giorno dopo, ma nello stesso tempo speri non possa finire mai, perché il giorno dopo sarà davvero tutto finito ed è evidente la sensazione che da lì inizierà tutta un’altra storia.
Chissà se in quella notte parigina i nostri hanno dormito o se invece hanno contato svegli ogni minuto che li separava dall’alba, come fece 58 anni dopo Marco Tardelli a Madrid, in un’altra notte di Luglio, in un’altra notte di vigilia.
Chissà se qualcuno di loro conosceva quello che aveva scritto l’americano Forrest Currest Smithson per raccontare la sua “notte prima”, quella che ai giochi olimpici di Londra 1908 precedette la finale nei 110 metri ostacoli:
Piove.
La pioggia serve a far pensare la gente.
Se piove di sera si pensa ancora meglio.
Stasera piove.
Domani la finale.
Ho fatto e dato tutto.
Non resta altro che far passare questa notte e correre la finale.
C’è solo un problema,
ci sono altri sette che stanno pensando quello che penso io.
Poi domani vincerà uno solo e la gente si ricorderà di lui e basta.
Saremo in otto a partire sullo sparo.
Ciascuno lascerà i blocchi alle sue spalle, insieme a migliaia di ore di allenamento,
con le proprie sofferenze, con le paure di aver sbagliato strada,
con tutti i dubbi sull’indomani, con le lettere spedite a casa da lontano,
con le noie accumulate sui treni delle trasferte,
con le camere d’albergo, con libri appoggiati su comodini sempre diversi,
con i dolori, con le ferite, con la solitudine.
Lo sport è un istante.
Un refolo di vento che gira da una o dall’altra parte.
A Londra 1908 fu trionfo, con il nuovo record mondiale fissato da Smithson in 15”.
Domenica 27 Luglio si chiudono i giochi della VIII Olimpiade moderna e ci sono quattro ragazzi italiani che a Parigi rincorrono un sogno: Italia–Belgio e Francia–Polonia si sfidano per un posto nella finalissima e nella storia.
Come racconta sempre il verbale di gara, le semifinali sono molto tese e non filano via lisce. Le prime nazionali a scendere in pista sono Italia e Belgio, ma la gara viene corsa due volte perché gli Olandesi, che non c’entrano nulla, presentano un reclamo per una irregolarità dei nostri ad inizio corsa. I giudici - invece di fermare la sfida e farla ripartire – la fanno terminare e poi, regolamento alla mano, la fanno ripetere. I nostri forse benedicono di non aver incrociato Jugoslavia e Danimarca in pista il pomeriggio prima e vincono: 5’12”. Sono in finale, ma sotto le ruote avranno già 8 chilometri percorsi a tutta velocità nella stessa giornata.
Così La Gazzetta dello Sport: “I quattro vittoriosi nella gara ad inseguimento hanno avuto ragione oltre che delle squadre avversarie anche dei soprusi, delle angherie, degli ingiusti deliberati di un giury del quale non sappiamo se maggiormente ammirare l’incompetenza o la raffinatezza dello sfavorire gli italiani. Però di fronte all’ingiustizia dei giurati nei loro confronti, Dinale, De Martini, Zucchetti e Menegazzi non si sono persi d’animo e da perfetti conoscitori del loro valore hanno fatto buon viso a cattiva sorte ed hanno ripetuto e nuovamente vinto una gara che non doveva ripetersi”.
Nell’altra semifinale tra Francia e Polonia succede anche di peggio, ma a noi in fondo gira bene. Pronti via e una foratura mette fuori gara un componente del quartetto francese. I tre rimasti sfoderano una grinta fuori dal comune e tengono testa ai polacchi fino a un giro dalla fine, quando dalle tribune un colpo di pistola segnala il falso arrivo. La squadra francese si confonde e taglia il traguardo con il tempo di 5’19”, mentre la Polonia ferma il cronometro a 5’18” ed è in finale.
L'Italia c'è. In semifinale il miglior tempo è il nostro e in finale troveremo i polacchi invece dei favoritissimi francesi. Un refolo di vento che gira dalla nostra parte.
Eccola, allora, la finale.
La Polonia schiera Josef Lange, Jan Lazarski, Tomasz Stankiewicz e Franciszek Szymcsyk; l’Italia risponde con Angelo De Martini, Alfredo Dinale, Aurelio Menegazzi e Francesco Zucchetti.
L’Arena, il quotidiano di Verona che ha due atleti protagonisti nel quartetto italiano, racconta così la gara: “L’Italia si avvantaggia sin dal primo giro di una quindicina di metri. La Polonia, nel secondo e nel terzo giro, resiste coraggiosamente ma nel quinto e sesto giro riperde terreno. Verso la fine, uno dei polacchi si rialza sfiancato. La squadra azzurra, entusiasticamente applaudita, vince con un centinaio di metri di vantaggio”.
Ai nostri non serve nemmeno il miglior tempo per spuntarla: con 5’15” (contro 5’23 dei polacchi) sono campioni olimpici. Succedono a Giorgetti, Ferrario, Carli e Magnani, gli italiani che ad Anversa, nel 1920, avevano trionfato in questa specialità.
E’ ancora la Gazzetta dello Sport a celebrare la squadra italiana: “Ringraziamo il poderoso Dinale, il loquace De Martini, il modesto Menegazzi e il bravo Zucchetti per averci dato la gioia del trionfo. Vittoria netta, meritata, indiscutibile […] Dei quattro componenti la squadra vittoriosa, il più poderoso è stato Dinale. Il bassanese ha avuto in Menegazzi un compagno duro all’inizio, ma progressivamente migliore con l’avanzarsi della gara, in Zucchetti un preziosissimo atout di successo per la regolarità della sua marcia, in De Martini un uomo velocissimo: la poderosissima andatura di Dinale ha completato i coefficienti del successo”.
Il ritorno a casa lo immaginiamo da eroi: celebrazioni e premiazioni, come squadra e come singoli atleti. Proprio nel 1924, ad esempio, il Giro d’Italia si concluse per la prima volta a Verona, con arrivo allo Stadium (il vecchio Stadio Bentegodi). I giornali locali raccontarono di un pubblico accorso numeroso al richiamo dell’importante avvenimento sportivo e di come per l’occasione venne organizzata una manifestazione di contorno in pista nell’attesa dell’arrivo dei corridori: stella dei pistard fu proprio il campione olimpico (e veronese) Angelo De Martini, un mix di tecnica, potenza e astuzia.
Dei quattro ragazzi che quel 27 Luglio 1924 vinsero l’oro a Parigi nell’inseguimento a squadre, è stato Alfredo Dinale ad avere la carriera più importante, vincendo – tra le altre – la Coppa Bernocchi del 1924 e due tappe del Giro d’Italia del 1929 con i colori della Legnano di Alfredo Binda. Saranno cinque le sue partecipazioni alla corsa della Gazzetta dello Sport.
Nello stesso anno del trionfo olimpico, Francesco Zucchetti si aggiudicò il Gran Premio degli stranieri a Varsavia e il Bol d'Or a Colonia. L’anno dopo arrivò secondo al campionato italiano velocità, sconfitto da Amedeo Boiocchi e vinse il Gran Premio Longhi a Marsiglia: in quell’anno iniziò anche a gareggiare in prove di stayer. Alla fine della stagione 1926 passò professionista e si recò a gareggiare in America, ottenendo diversi successi nelle riunioni al coperto e partecipando a diverse Sei Giorni. Il giornale dei New York Yankees lo cita in una gara di velocità del 1927, negli States. Poi di lui non si sa più nulla, se non il fatto che ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Trichiana, in provincia di Belluno, dove è morto nel 1980.
Chissà se Francesco, in quella notte di vigilia a Parigi, si è addormentato subito o ha avuto qualche difficoltà nel prendere sonno.
Magari, guardando in silenzio la ville lumière affacciato alla finestra della sua camera d’albergo, ha ripensato alla sua infanzia a Cernusco. A quei bellissimi tramonti quando il sole scende in fondo al Naviglio, verso Milano; o a quei colori limpidi quando c’è vento, che se volgi lo sguardo verso Nord puoi vedere il Resegone stagliarsi davanti ad un cielo blu pulito; o alle sfide in bicicletta con suo fratello Alfonso, tornando dalla chiesetta di Santa Maria, lungo il Naviglio, e poi giù a tutta velocità dal ponte vecchio, curva a gomito a destra e via in volata sul rettilineo di via Cavour, davanti a casa.
La vita, come lo sport, è un istante.
Un refolo di vento che gira da una o dall’altra parte.
TITOLI DI CODA
Anche Alfonso Zucchetti, di un anno più giovane di Francesco, seguì le orme del fratello nel ciclismo. Pur non riuscendo a raggiungere gli stessi eccellenti risultati del campione olimpico, proprio con la maglia del Genova 1913 vinse il titolo di campione italiano velocità dilettanti nel 1926, togliendosi anche qualche soddisfazione in altre gare su pista.
A capo del Genova 1913 per i cui colori correvano Francesco e Alfonso Zucchetti nei primi anni venti, c’era Adriano Rodoni. Tra i soci fondatori dell’associazione a soli 15 anni, Rodoni ne divenne Presidente nel 1918, lasciando la carica nel 1941 per assumere quella di Presidente della Federazione Italiana di ciclismo una prima volta durante la seconda guerra mondiale e poi per un lunghissimo periodo, dal 1956 al 1985. Dal 1957 al 1981 ricoprì anche il ruolo di presidente della Federazione Internazionale. Una vita dedicata al ciclismo, da Binda a Moser. C’era lui a Treviglio nel 1976 a premiare i vincitori della Coppa Adriana, la gara dedicata alla figlia prematuramente scomparsa e valida quell’anno per il titolo Italiano. Sul palco delle premiazioni, a ricevere la maglia di campioni nazionali dalle mani di Rodoni (ultimo a destra, nella foto qui sotto), salì la squadra della Cernuschese: Vincenzo Cogliati, Giuseppe Perego e Ernesto Calloni, insieme ai Direttori Sportivi Giuseppe Fumagalli e Tiziano Protti.
Dopo Francesco Zucchetti nel 1924, c’è stato un altro ciclista cernuschese in una selezione italiana in trionfo. A Villach, nel 1987, l’Italia divenne Campione del Mondo nella cronometro a squadre con Eros Poli, il nostro Mario Scirea, Flavio Vanzella e Roberto Fortunato, primi davanti a URSS e Austria. Mario Scirea visse poi una lunghissima carriera da professionista dal 1989 al 2004, partecipando – tra l’altro - a 14 edizioni del Giro d’Italia, 9 Tour de France e 6 Vuelta di Spagna. Per anni è stato il prezioso apripista di Mario Cipollini nel "treno" delle volate del campione toscano, compresa quella iridata del "Re Leone" a Zolder nel 2002.